
Nell'articolo "Soñadoras" scritto da Mariuccia Casadio per l'edizione di Marzo di Vogue Italia (pag. 129) si parla di come il Messico di Frida Kahlo abbia attratto le surrealiste europee a partire dagli anni trenta e come questa donna rappresenti la prematura emancipazione (in alcuni ambiti) del genere femminile.
È così che ho iniziato a pensare che Frida Kahlo per me è sempre stata (da quando ho saputo chi fosse) una contraddizione. Piena di talento e forza di volontà ma allo stesso tempo piena di dipendenza e solitudine.
Le sue opere parlano da sole, ci fanno sentire l'amore, la forza, il dolore, il buio, ci fanno sentire un mondo pieno di pericoli ma a quanto pare il mondo di Frida era di più, un qualcosa che ognuno capisce a modo suo. Frida ci ha dato gli strumenti per guardarci dentro da soli attraverso le sue opere.
"La mia pittura porta con sé il messaggio di dolore".
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Ciò che ho visto nell'acqua e ciò che l'acqua mi ha dato (1938) |
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Ospedale Henry Ford / Il letto volante (1932) |
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Diego e io (1949) |
Molti parlano di Frida come un'eroina degna d'ammirazione, altri invece sostengono che sia proprio il contrario di come viene descritta nei libri ma secondo me Frida è quella donna che all'età di diciotto anni si è spezzata la colonna vertebrale a causa di un incidente e costretta ad anni di riposo nel letto di casa col busto ingessato, è quella donna che ha perso un figlio a causa di un aborto spontaneo dovuto all'inadeguatezza del suo fisico e che ha dovuto convivere con un amore pazzo e doloroso, l'amputazione della gamba destra e l'embolia polmonare che a 47 anni l'ha portata alla morte, questa è Frida.
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